3 apr 2008

de iuventute



In questi ultimi mesi mi è capitato di riflettere spesso su come cambia la percezione della realtà col passare del tempo, in particolare di come oggi io la percepisco rispetto a come, quando ero piccolo mi immaginavo l'avrei vissuta. Ad esempio, mi ricordo quando sui banchi delle elementari pensavo all'anno 2000 e mi spaventava anche un po'. La futurologia ingenua del mio essere bambino negli anni 70 mi portava a immaginarmi per quella lontana data, fatidica e simbolica, sposato (in particolare con la mia compagna di classe Barbara G.), con annessi figli (che pensavo si ordinassero sul catalogo del Postalmarket), immerso in una società con diavolerie tecnologiche sintetizzabili in ciò che si ammirava in una puntata qualunque del cartone animato "I Pronipoti". All'alba del nuovo millennio, che si sta peraltro allontanando a velocità eccessiva e inquietante, nessuna delle profezie si era avverata. La cosa mi ha imbarazzato nei confronti delle aspettative che il me-di-allora aveva verso il me-di-oggi e mi sono sentito quindi allo stesso tempo tradito e colpevole (niente male vero?). Poi ho pensato: ehi ma che fai, ti preoccupi di rendere conto a un moccioso biondino che non esiste più? Allora ho innescato un dibattito interno tra continuità e discontinuità dell'io biografico e biologico che mi ha portato ad assumere, sei etti di cioccolato al latte a titolo di doping. Comunque, facezie a parte, quello che vorrei ricordare, prima di tutto a me stesso, è la percezione che avevo degli adulti allora per arrivare alla valutazione sugli adulti di oggi. Allora ho fatto una prova e sono andato a rivedere alcuni morti celebri adulti che associo alla mia infanzia per vedere come si posizionavano anagraficamente allora rispetto alla mia età attuale (38,5). Per ovvi motivi le morti degli anni 70 che mi sono rimaste dentro sono legate al clima sociale di quegli anni e quindi in gran parte sono da ricondurre a fatti di cronaca della stagione del terrorismo. Il risultato mi ha turbato enormemente (vado in ordine cronologico sparso): il giudice Emilio Alessandrini fu ucciso dalle Br a 37 anni, il commissario Calabresi ne aveva 35 e Walter Tobagi, giornalista del Corriere, 33. Io nella mia percezione da Peter Pan me li ero sempre figurati "grandi", forse cinquantenni, sbiaditi nelle loro tragedie incomprensibili trasmesse con edizioni speciali dalla Rai. Resi familiari e fissati nell'immaginario da fototessere sottratte velocemente a carte d'identità ormai inutili. Dentro ai Telefunken in bianco e nero in cui il sangue non era rosso ma grigio scuro, tanto da sembrare meno reale.
Oggi in Italia se hai trentacinque anni a nessuno gli viene in mente di spararti perché rappresenti qualcosa nella società, al limite vieni preso al Grande Fratello perché sei ancora nella stanza dei giochi. Devo ancora capire se è meglio così.

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